Questo periodo dello sviluppo è molto importante perché porta allo crescita del sistema che guiderà le interazioni e gli scambi relazionali e affettivi.
Poichè l’autonomia emotiva e la piena coscienza di se non si sono ancora formate, se si verificano esperienze di rifiuto e di abbandono da parte di uno o di entrambi i genitori, i bambini sperimentano inconsapevolmente sia l’ambivalenza tra il dolore e la rabbia per l’ amore non ricevuto, sia il dubbio di non valere poi tanto e di dover fare di tutto per essere migliori.
Queste premesse, creano le basi per la possibilità di sviluppare una dipendenza affettiva, i cui sintomi principali sono:
– Profondo senso di colpa
Il dipendente dedica completamente tutto sé stesso all’altro, al fine di perseguire esclusivamente il suo benessere e non anche il proprio, come dovrebbe essere in una relazione “sana”. Chi ha una dipendenza affettiva, nell’amore vede la risoluzione dei propri problemi. Il partner assume il ruolo di un salvatore, egli diventa lo scopo della sua esistenza, la sua assenza anche temporanea da un profondo senso di angoscia. Per riempire questa voragine esistono tanti altri modi: l’alcool, il fumo, il cibo, il super lavoro, ma essi non la potranno mai colmare veramente, possono aiutare a distrarsi, a non sentire, ma non risolvono il problema di fondo.
Chi è affetto da dipendenza affettiva non riesce a cogliere ed a beneficiare dell’amore nella sua profondità ed intimità. A causa della paura dell’abbandono, della separazione, della solitudine, si tende a negare i propri desideri e bisogni e si ripropongono i copioni passati, gli stessi che hanno ostacolato la propria crescita personale.
La dipendenza si stabilisce perché c’è il rifiuto. Se non ci fosse, quasi sempre il presunto amore finirebbe in un tempo incredibilmente breve. Quello che imprigiona nelle relazioni, il dipendente affettivo, è la speranza e presunzione di riuscire prima o poi nella vita a farsi amare da chi proprio non vuole farlo, o di riuscire a curare chi non può o non vuole essere curato, o di salvare chi non può o non vuole essere salvato. Gli individui dipendenti solitamente cercano una o poche relazioni esclusive, sia con il partner che con gli amici, così da riprodurre quello schema comportamentale instauratosi nella fase post-natale.
Scelgono persone che sembrano in grado di affrontare la vita e che si possano prendere cura di loro e investono su queste figure di riferimento, responsabilità che altrimenti spetterebbero a loro in prima persona. Il soggetto dipendente, pur di compiacere l’altro, evita il conflitto ed ogni sorta di controversia per il timore dell’abbandono, rinnegando il proprio vero Sè. Quando non riesce a vivere un rapporto di coppia come un processo di crescita permanente, rimane intrappolato negli schemi disfunzionali appresi nel passato, alimentato dalle paure di solitudine e d’abbandono, e dalla speranza che l’altro si prenda cura di lui.
La guarigione dalla dipendenza affettiva non è il distacco dalla persona o dalle persone da cui si era dipendenti, bensì l’acquisizione di una l’autonomia affettiva; questo è ciò che permette di entrare consapevolmente e realmente in relazione con gli altri, perché li vogliamo, perché li scegliamo, non perché abbiamo bisogno di loro per esistere.
Giungere a questo livello non è semplice, anche perché nonostante il forte malessere è molto difficile chiedere aiuto per la pura del rifiuto. Il momento significativo che porta i dipendenti affettivi a chiedere aiuto, come nelle diverse forme di dipendenza, avviene quando si tocca il fondo, quando si ha la percezione del vuoto, della perdita di identità, della rabbia e dalla frustrazione di non vedere ricambiata la dedizione e il loro amore.
Durante questi dolorosi momenti si convincono che qualcosa non va, e trovano la spinta necessaria ad uscire dal circolo vizioso della dipendenza affettiva.